Blindsight: il fenomeno della visione cieca

La visione cieca è un complesso disturbo neuropsicologico per cui un soggetto riesce a localizzare uno stimolo visivo in modo inconsapevole.

Radio Tabù
3 min readJul 1, 2022

Questo disturbo riguarda quelle persone che hanno perso parte della vista a causa di una lesione cerebrale nella corteccia occipitale (V1), area deputata alla visione primaria.
Questa scoperta ha fatto capire come il sistema visivo sia molto più complesso di quanto si credeva: la blindsight si può spiegare pensando che il cervello comprende due sistemi distinti per decodificare i meccanismi coinvolti nella visione.

Di questi due sistemi, il primo e geneticamente più antico, che conserviamo in comune con altre specie, fa sì che possiamo controllare i movimenti degli occhi orientandoli verso un oggetto che appare in modo improvviso nel nostro campo visivo. È, quindi, deputato a localizzarne la posizione.
Il secondo sistema, caratteristico solo dei mammiferi, ci permette di identificare questo oggetto, senza capirne l’ubicazione.
Nella visione cieca questo secondo sistema è quello danneggiato, mentre il primo è intatto: pertanto non si riconosce la natura dell’oggetto ma si percepisce uno stimolo visivo in una data posizione.

Il fenomeno della visione cieca è stato studiato a lungo da Lawrence Weiskrantz, neuropsicologo inglese, a partire dal 1974.
Nel suo studio, alcuni soggetti colpiti dell’area V1 sono stati sottoposti ad alcuni compiti che permettessero di studiarne le capacità sensoriali.
Per prima cosa gli venne chiesto se due oggetti avessero, per loro, lo stesso colore: ma i soggetti rispondevano di non vedere nulla.

Sollecitati nuovamente, riuscivano a rispondere ottenendo una percentuale di precisone maggiore del 50%. Non poteva trattarsi, quindi, di semplici tentativi casuali: doveva esserci un’altra ragione. Queste persone mostravano di avere dei residui di capacità visive, pur non avendone consapevolezza.
Va specificato, però, che quella dei soggetti presi in esame e, in generale, chi “possiede” la visione cieca, non è una cecità reale: la visione manca effettivamente, ma non ci sono lesioni all’apparato visivo.
In questi casi lo stimo viene catturato dai ricettori della retina, da qui esso viene “inviato” al nervo ottico e si incrocia nel chiasma. Finisce, poi, nel corpo genicolato laterale e da qui si generano le fibre che arrivano alla corteccia visiva primaria.

Ricerche sulla blindsight sono state portate avanti negli anni. Una delle più recenti è stata effettata da un team di ricerca dell’Università di Torino, in collaborazione con le Università di Oxford, Tilburg, Maastricht e Verona. Lo studio da loro pubblicato sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), parla di riorganizzazione del cervello.

Come abbiamo detto, le aree dell’emisfero intatto, quello che decodifica la posizione dell’oggetto, si riorganizzano in modo tale da compensare i danni alle altre aree visive. Non era, però, ancora stato chiarito come questo potesse verificarsi.
Il team di ricerca di Torino è stato coordinato da Prof. Marco Tamietto e dalla Dott.ssa Alessia Celeghin del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino. Nel loro studio, essi hanno unito le tecniche comportamentali e di neuroimaging per osservare in quali aree dell’emisfero intatto avvengono questi cambiamenti che permettono la compensazione della cecità.

Per farlo, hanno osservato il cervello di un paziente (G.Y.) con blindsight da quando ha otto anni, dopo aver subito una lesione alla corteccia visiva.
Durante la visione normale, gli stimoli che compaiono in una parte dello spazio visivo attivano le aree dell’emisfero opposto del cervello, mentre gli stimoli presentati nel lato cieco attivano aree visive e motorie in entrambi gli emisferi.
I risultati suggeriscono che le risposte non consapevoli dei pazienti con visione cieca sono mediate da una attività compensatoria dell’emisfero intatto e da un aumento della comunicazione tra i due emisferi.
Questa ricerca potrebbe contribuire a portare alla luce meccanismi neurali fino ad ora poco conosciuti, che potrebbero consentire l’acquisizione di abilità non consapevoli e giocare un importante ruolo nelle cure riabilitative.

“Lo studio ci permette di avere una porta d’accesso privilegiata sui meccanismi cerebrali che regolano la coscienza e consentono di rispondere a una serie di eventi in modo inconsapevole. Si pensi alle paralisi motorie, spesso si riesce a recuperare parzialmente l’utilizzo di un arto grazie alla riorganizzazione spontanea del cervello, ma nel sistema visivo tale meccanismo non era mai stato indagato in modo diretto”. (Marco Tamietto)

Articolo di Marianna Nusca

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