Condivisione e supporto: perché sono importanti per la salute

Nell’era dei social, dove siamo più propensi a condividere molto della nostra sfera personale, c’è chi critica questa tendenza.

Radio Tabù
6 min readApr 16, 2022

Un esempio recente è stato fornito dalla dolorosa vicenda di Fedez che, avendo scoperto un raro tumore al pancreas, ha voluto condividere il suo dolore e la preoccupazione con i suoi fan.
Anche in un frangete così delicato, che richiederebbe empatia e ascolto attivo, le critiche non si sono fatte attendere e molte riguardavano proprio la decisione di condividere le proprie vicende personali, i propri sentimenti e la sfera privata, con un pubblico di sconosciuti.

Condividere fa bene

Senza dove ribadire l’ovvio, ovvero che ognuno elabora e vive il dolore come meglio gli si confà, è davvero preferibile tacere e tenere tutto per sé?
La psicologia, in realtà, non è così d’accordo: distaccandoci, per un attimo, dalle complesse implicazioni delle dinamiche dei social media, la condivisione riveste un ruolo fondamentale nell’elaborazione dei sentimenti, specialmente quelli dolorosi, e funge da cassa di risonanza per quelli positivi, aumentando così il benessere percepito.

Non solo: a essa si lega a doppio filo il concetto di supporto, emotivo e pratico che sia, di una buona rete sociale. E questa rete sociale non deve necessariamente essere fisica o a nostro stretto contatto: i mezzi di comunicazione ci offrono la possibilità di allacciare rapporti con persone di tutto il mondo, e se da questo ne può derivare un messaggio di vicinanza e supporto, perché recriminarlo?

E chi, invece, non condivide nulla? Chi una buona sfera sociale non ce l’ha?

Cerchiamo, allora, di capire perché queste dinamiche sono così fondamentali.

Il supporto di una rete sociale

Quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze
(William Shakespeare)

In un contesto di cura, come lo è quello della psicologia e della medicina, avere una buona rete di supporto è fondamentale per un migliore outcome nella terapia, inoltre essa rappresenta un fattore protettivo nello sviluppo di malattie mentali. Non a caso, soprattutto nei colloqui inerenti alla salute mentale, una delle prime cose a cui si fa caso è se l’utente può fare affidamento su amici, parenti o gruppi di supporto (religiosi, sanitari o altro), nel suo percorso di cura.
Questo concetto si collega strettamente, come abbiamo detto, a quello di condivisione perché senza un appoggio esterno non può esserci quella condivisione dal forte impatto positivo.

La parola parlata, infatti, il dialogo, è uno dei principali strumenti di aiuto che possiamo offrire all’altro in difficoltà. L’ascolto attivo delle problematiche di chi ci sta accanto permette un alleggerimento del peso: questo, infatti, ci fa sentire compresi e supportati; in poche parole: non soli.
Perché la solitudine, ci dicono studi a riguardo, può essere davvero dannosa per la salute.

Da una parte la solitudine interiore può essere collegata a serenità e speranza. Nella solitudine dolorosa si possono cogliere le conseguenze della perdita degli ideali, dell’indifferenza, del disinteresse, del dolore del corpo, della perdita di umane relazioni
(Eugenio Borgna, La solitudine dell’anima)

È necessario, tuttavia, distinguere tra solitudine reale e solitudine percepita: è quest’ultima a interessarci maggiormente poiché è quella che influisce di più sulla salute, mentale e fisica. C’è da dire, però, che in molti ambiti della malattia e della sofferenza, soprattutto quella mentale, la solitudine non è solo percepita ma effettiva:

Non per tutti, infatti, è semplice stare accanto a una persona malata, a contatto con la sofferenza altrui che ci ricorda la nostra caducità.

A influire negativamente è anche lo stigma legato alla malattia e al malato che, quest’ultimo, rischia d'interiorizzare (self-stigma) entrando in una spirale d'isolamento da cui è difficile uscire.

Tuttavia, pur essendo difficile, non dovremmo farci sopraffare da sentimenti superficiali ed egoistici, ma capire che il senso comunitario e la vicinanza possono essere di grande aiuto per chi sta soffrendo una situazione di sofferenza, che sia reversibile o meno.
La cura dell’altro è fondamentale anche per il nostro benessere, in quanto individui appartenenti a una comunità e non immuni, noi per primi, alla malattia e alla sofferenza.

Solitudine e sviluppo di patologie

Le persone che si sentono più sole rispetto ad altre hanno un rischio maggiore di sviluppare disturbi come ansia, forte stress, depressione, disturbo psicotico e ideazione suicidaria: immaginate, poi, come ci possa sentire se, alla solitudine, si accompagna già una situazione di difficoltà e malattia.

Ma non è tutto: sentirsi soli porta anche alla progressione di altre patologie come alcolismo, abuso di sostanze, incremento di malattie neuro degenerative come l’Alzheimer.
Pur essendo conseguenze indirette della solitudine, le reazioni e le patologie a essa correlate, agiscono sulla chimica del nostro cervello. Ma è anche la solitudine stessa a produrre delle vere e proprie modificazioni a livello chimico.

Uno studio condotto su animali, portato avanti dalla Divisione di biologia e ingegneria biologica della Caltech (California Institute of Technology), ha mostrato come, nei topi, una situazione prolungata d'isolamento conduca all’aumento della neurochinina B (NkB), una proteina associata a comportamenti negativi come maggiore aggressività e paura. Non solo: gli effetti negativi, in alcuni esemplari, sono continuati anche una volta reinseriti in un contesto comunitario, con i loro simili.
Se questo studio non bastasse, ce ne sono altri che mettono in relazione la solitudine e lo stress a essa associato, all’indebolimento del sistema immunitario e lo sviluppo di malattie cardiovascolari.

L’uomo, animale sociale

Ma, se la ricerca scientifica ci offre ottime basi per comprendere le implicazioni di determinati fenomeni, è pur vero che ci basterebbe fare appello alla nostra esperienza personale per capire quanto l’essere umano abbia bisogno di socialità e condivisione. Un esempio tra tutti lo fornisce, ancora una volta, la pandemia vissuta questi due anni, in particolar modo il periodo di lockdown forzato che tutti, con diversi mezzi e situazioni, ci siamo trovati ad affrontare. E sicuramente ricorderemo il sentimento di disagio e isolamento che molti di noi, dei nostri amici e familiari, hanno dovuto sopportare.

Non per niente l’essere umano è un animale sociale e, come tale, ha bisogno della vicinanza dei suoi simili. Ma non basta una vicinanza fisica: è necessaria quella emotiva, che si può ritrovare tramite la condivisione.

Aprirci agli altri, condividere, rafforza i legami sociali e l’autostima, accresce le nostre conoscenze sul mondo e su noi stessi.

Parlare di un problema, infatti, non rappresenta solo una valvola di sfogo, ma il confronto con qualcuno ci permette anche di analizzare la situazione da un’ottica differente.

Condividere un sentimento positivo, poi, accresce questa positività e la trasmette al nostro interlocutore; la condivisione di sentimenti negativi, invece, ci permette di non tenerceli dentro, di dargli un nome e “guardarli in faccia”: trattenere la negatività in favore di una positività forzata, aumenta la pressione interna, accresce l’ansia e il senso d'inadeguatezza. Esporci con qualcuno di comprensivo ed empatico, d’altro canto, ci dà la facoltà di alleggerirci da questo peso.

Lo stesso effetto “curativo”, diciamo così, della condivisione tramite parola parlata, lo si riscontra anche nelle religioni, basti pensare alla pratica della confessione nella religione cattolica e, in generale, alla preghiera comunitaria comune a molte fedi.

Da non sottovalutare, inoltre, è anche la parola non parlata, la pratica della scrittura, i cui benefici sono stati ampiamente studiati e sviscerati.

Condivisione e supporto per il benessere della comunità

La natura del gruppo e le sue forze dipendono principalmente dalle azioni degli individui che a loro volta, come membri, presentano cambiamenti psicologici connessi a questa appartenenza; ciò depone a favore di una visione dei fenomeni di gruppo sia come prodotto sia come condizione delle azioni dei singoli

(Solommon Asch).

Condividere il nostro dolore e i nostri sentimenti in generale da una parte, e prodigarci in un ascolto attivo e nel supporto emotivo dall’altra, dunque, porta ad avvicinarci emotivamente ed empaticamente gli uni agli altri. Questa vicinanza è ciò che crea e alimenta il senso di comunità necessario a far sì che, tramite il supporto del singolo, anche l’intero gruppo abbia una sopravvivenza e un benessere migliori.

Se, dunque, supportare una persona in un momento di bisogno può essere stancante e faticoso, perché ci mette di fronte alle nostre fragilità di esseri umani e alla sofferenza, è altresì vero che il condividere, come suggerisce l’etimologia stessa della parola, permette di “fare a metà” quel dolore e rendere tutto un po’ più sopportabile.

Perché l’Altro non è mai avulso da noi ma ci riguarda da vicino e, come recita un film nostrano, “nessuno si salva da solo”.

Articolo di Marianna Nusca

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