Influenza sociale: come l’individuo vive il gruppo

Uno degli aspetti più studiati dalla psicologia sociale -quella branca della psicologia che si occupa di indagare la relazione tra individuo e processi sociali- riguarda la psicologia delle folle e l’influenza sociale.

Radio Tabù
4 min readJul 15, 2022

Cos’è l’influenza sociale? Si tratta di un cambiamento negli atteggiamenti e nei modi di pensare che avviene in seguito all’esposizione, da parte dell’individuo, a giudizi, opinioni e comportamenti di un gruppo.
Il discorso risulta essere assai attuale nella nostra società iperconnessa, in cui social media e comunicazione la fanno da padrone (anche con conseguenze disastrose).
L’influenza sociale può avvenire attraverso tre modalità: la normalizzazione, il processo per cui i soggetti sociali tendono a convergere verso una norma ritenuta comune; la conformità e la sottomissione, due forme di accettazione passiva di una norma dominante, che viene accettata pur se non necessariamente condivisa; l’innovazione, il mezzo attraverso il quale una minoranza riesce, con il tempo, a sostituire la norma dominante.

Nella psicologia sociale, più studiate sono le modalità con cui avviene il processo di influenza da parte di una maggioranza (influenza maggioritaria) sull’individuo.
Un interessante esperimento, a tal proposito, è stato condotto dallo psicologo polacco Solomon Asch che si avvalse dell’aiuto di alcuni attori che hanno ricevuto istruzioni su come comportarsi. Il suo presupposto era che, di fronte un fatto oggettivo, l’individuo non ha bisogno del consenso altrui per formarsi un’opinione e ritenerla valida. Il suo esperimento, purtroppo, ha disatteso le aspettative, portando ad altri risultati.

L’ESPERIMENTO IN BREVE. In una stanza vengono condotti degli attori e l’individuo oggetto di studio. Asch mostra loro un’immagine con tre linee numerate e chiede a ciascuno di indicare quella più lunga. Gli attori rispondo per primi scegliendo, di proposito, la linea sbagliata.
Il risultato dell’esperimento è stato che il 32% circa dei partecipanti ha dato risposte scorrette per adeguarsi alla maggioranza. Il nostro adeguamento del giudizio, conclude Asch, è cosciente e consapevole. Egli si riferisce a questo come conformismo.

Sempre per spiegare il conformismo, ma relativamente all’obbedienza all’autorità, lo psicologo americano Stanley Milgram condusse un altro esperimento oggi abbastanza conosciuto, che sollevò non poche polemiche.

L’ESPERIMENTO DI MILGRAM. Nella prima parte due ricercatori assegnano i ruoli di allievo e insegnante ai partecipanti, tramite un sorteggio truccato. Il soggetto ignaro è sorteggiato sempre come insegnante. I due soggetti vengono condotti in stanze differenti: l’insegnante è posto davanti un pannello di controllo che genera corrente elettrica crescente. Una scarica elettrica, di bassa intensità, viene testata direttamente sull’insegnante, a dimostrazione del dolore che si prova e della veridicità della stessa.

A questo punto viene chiesto all’insegnante di somministrare alcune domande all’allievo e di aumentare l’intensità delle scariche ogni volta che questo fornisce una risposta sbagliata. L’allievo, un attore, raggiunta la carica elettrica più alta non emette più alcun lamento e finge di essere svenuto.
Il ricercatore, ovvero la figura autoritaria, esorta l’insegnante a continuare con le scariche.

Molti soggetti con il ruolo di insegnante, nonostante l’iniziale riluttanza, obbedirono al ricercatore continuando a somministrare scariche elettriche. Numerosi soggetti somministravano scariche crescenti nonostante le grida di dolore dell’allievo e le sue richieste di aiuto.
A giustificazione, queste persone si sono limitate a rispondere di aver semplicemente eseguito gli ordini, non ritenendosi responsabili di quanto delle azioni commesse.

Se questa risposta vi suona familiare è perché effettivamente lo è. L’esperimento, infatti, nasce proprio a seguito del processo, tenutosi a Gerusalemme, contro il militare nazista Adolf Eichmann, che si difese con queste stesse parole.

Non è un caso che molti tra i maggiori studiosi di psicologia sociale sono di origine ebraica e gli studi in questo campo di ricerca hanno visto una crescita proprio a seguito dell’imporsi dell’ideologia nazista.

Lo psicologo Irving Janis conia un neologismo per indicare la presa di decisione disfunzionale all’interno di un gruppo: Groupthink. Il termine si riferisce a quelle situazioni in cui, per evitare il conflitto e raggiungere il consenso si prendono decisioni sulla scia di un processo decisionale non ragionato.
Affinché questa dinamica si avveri, sono necessarie alcune caratteristiche: il gruppo deve essere chiuso e identitario, c’è la presenza di un leader autoritario, c’è una forte pressione per la ricerca di una soluzione. Questa, allora, viene presa sulla scia della fiducia nella moralità del gruppo, con un’autocensura da parte di chi la pensa diversamente.
Le conseguenze di decisioni prese per assecondare la maggioranza, senza un ragionamento valido e con un’alta assunzione di rischio, possono essere disastrose.
Anche in questo caso per lo studio di questi atteggiamenti nasce dall’osservazione di un fatto storico: Janis, infatti, per elaborare la teoria del groupthink, si è ispirato alla disastrosa decisione, da parte degli Stati Uniti d’America, di invadere Cuba.

Ma allora qual è la soluzione alle manipolazioni da parte dell’influenza maggioritaria? Per evitare polarizzazioni, è necessario che nei gruppi vi sia un elemento divergente e di contrasto che può essere rappresentato da una minoranza che riesca a sostituire il modello dominante, e dal conflitto, intendendo quest’ultimo come discordanza dall’idea comune e maggioritaria.

Questa ultima soluzione, però, potrebbe avallare tutti quegli atteggiamenti antiscientifici e antisociali come le teorie complottiste o atteggiamenti politici rischiosi per la società ed eticamente non condivisibili da tutti. Pur trattandosi di minoranze che spingono contro una “norma dominante”, è bene imparare a scindere la credibilità di un’istanza portata avanti da un gruppo sociale, da atteggiamenti sovversivi privi di fondamento e che intendono, anche essi, manipolare l’individuo senza scopi migliorativi.
Se il dubbio è lecito, è lecito -anzi dovuto- che a una discussione per fugarlo, o per mettere in crisi l’autorità, ci si partecipi con argomentazioni e strumenti conoscitivi adeguati.

Alla luce di ciò, quante delle nostre decisioni sono prese autonomamente?

Articolo di Marianna Nusca

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