La legge Basaglia chiude i manicomi italiani

Il 13 maggio del 1978 veniva promulgata la Legge 180 (Legge 13 maggio 1978, n.180 — “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”), meglio nota come Legge Basaglia, che mise fine ai manicomi sul tutto il territorio nazionale.

Radio Tabù
4 min readMay 13, 2022

La legge conferisce un importante primato all’Italia, designandola come il primo paese al mondo a legiferare la chiusura degli ospedali psichiatrici, luoghi più di detenzione che di cura. È considerata talmente importante che, ancora oggi, l’Europa chiede di guardare al nostro Paese come esempio virtuoso e da seguire in questo contesto.

La legge 180 la si deve al un medico e professore italiano, Franco Basaglia, che si batté per vent’anni affinché venissero abolite queste strutture. Basaglia, infatti, poté rendersi conto in prima persona delle tragiche condizioni in cui versavano gli utenti qui rinchiusi, in quanto direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia.

“Un malato di mente entra nel manicomio come una persona per diventare una cosa”

Come abbiamo detto, infatti, queste strutture erano adibite alla riabilitazione solo formalmente mentre nella realtà esse somigliavano più a un carcere. I cosiddetti manicomi non guarivano la malattia né assistevano gli utenti: erano luoghi usati per rinchiudere la devianza e allontanare gli individui considerati disturbanti dalla società e, soprattutto, dalle famiglie che non sapevano -o non volevano- farsi carico del parente.

Qui dentro non venivano rinchiusi solo i “matti”, ma anche persone che non avevano alcun tipo di disturbo psichiatrico, ritenute in qualche modo scomode, imbarazzanti e difficili da gestire. La concezione di “matto”, infatti, era piuttosto fumosa e nel suo ventaglio di definizioni potevano essere inserite molte personalità. Ecco, allora, che gli ospedali psichiatrici diventavano un posto in cui rinchiudere, letteralmente, l’anomalia.

Nei manicomi non si trovavano solo pazienti psichiatrici, ma anche persone con disabilità, donne considerate troppo scandalose per la morale pubblica perché sessualmente libere o colpevoli di adulterio o perché desiderose di fuggire dalle violenze del marito; vi venivano rinchiusi anche omosessuali e criminali e, negli anni della dittatura fascista, avversari politici.

Dopo la guerra vi venivano rinchiusi i reduci con sintomi riconducibili al disturbo post traumatico da stress, i cosiddetti “scemi di guerra”.

Tutto, dunque, fuorché cura, assistenza, ascolto delle necessità.
Non è difficile capire come una malattia non curata adeguatamente ai suoi esordi, col tempo, non fa altro che degenerare, soprattutto se consideriamo le “cure” degli ospedali psichiatrici. Mentre laddove il disturbo era assente, questo sarebbe senz’altro insorto come conseguenza a un ambiente ostile, brutale e violento.

Nei manicomi, come nelle carceri, vigeva la disumanizzazione e la scienza medica era al soldo dell’ordine pubblico: i ricoverati non ricevevano cure, ma su di loro si utilizzavano metodologie inefficaci e senza supporto scientifico, volte solo a controllare e contenere i comportamenti.

Queste pseudo-cure erano, a tutti gli effetti, violente e coercitive e privavano i pazienti dei loro diritti e della loro umanità: si potevano usare bastonature, abusi, manette o catene.

L’elettroshock era una pratica diffusa e praticata in modo irresponsabile e senza anestesia. A essa fu affiancata la terribile lobotomia, che prevedeva la recisione delle connessioni della corteccia prefrontale dell’encefalo. Questa pratica conduceva alla perdita delle facoltà mentali, dell’uso della parola e riduceva la persona in stato vegetativo.

Altre metodologie erano l’asportazione dell’organo ritenuto responsabile della malattia, la tecnica del sonno profondo indotto con i barbiturici, lo shock malarico.

Franco Basaglia permise l’interruzione di questa realtà raccapricciante che, purtroppo, permane ancora in molte parti del mondo. Lui ha riportato al centro della discussione la persona, riconferendo al paziente i diritti e la dignità di cui è stato privato per troppo tempo.

A distanza di anni -non molti ma abbastanza- il discorso generale sulla salute mentale è ancora carente, per questo bisogna continuare a parlarne. È importante aumentare la sensibilizzazione sui disturbi mentali e chi ne soffre, educare all’ascolto delle esigenze altrui e lavorare per garantire maggiori tutele per i pazienti e le loro famiglie.
La Legge Basaglia, però, è un importante tassello nella giusta direzione: un fatto all’avanguardia se si pensa l’epoca in cui è nata, nonché un vanto italiano. E, per queste ragioni, va ricordata e celebrata.

La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere.
Aprire l’Istituzione non è aprire una porta, ma la nostra testa di fronte a “questo” malato.

Franco Basaglia

Articolo di Marianna Nusca

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